1.
Sembra che non ci sia nessun’altra possibilità per parlare (in poesia), che parlare per mezzo di qualcosa che somiglia alle immagini. L’immagine degli imagisti (sensuale) l’immagine dei surrealisti (artificiale) la «deep image», ora, che si basa sulla percezione come strumento di visione. I poeti si costruiscono una coscienza basata sui cinque sensi, tesi fino ai limiti di rottura della percezione. Non ci sono indicazioni di oggetti, c’è solamente la costruzione dell’immagine e l’immagine non è mai sola. Essa è tutto ciò che c’è sopra sotto a destra a sinistra dell’immagine.
A chi mi chiedesse che dimensioni ci sono sopra sotto a destra a sinistra del territorio dell’immagine, risponderei una poesia-schermo, che mette in primo piano l’immagine, e più l’immagine viene avanti, più si spalanca territorio alle sue spalle (un fotogramma di Eisenstein o, ancora meno, di un film western). Si capisce così che il poeta ha più cose da dire di quante ne stia raccontando. Per raccontare servono termini di riferimento, i termini di riferimento sono le immagini, ma le immagini sono in contraddizione con il loro territorio che è un territorio troppo vasto da occupare (le teorie di Fludd). Dire tutto quello che è possibile attorno all’immagine e poi nasconderla, buttarla via. Tutto quello che rimane dopo averla buttata via, è la poesia.
2.
Alcuni esempi per Tam Tam: Giulia Niccolai e la situazione alessandrina dei suoi testi dai Nuovissimi. La poesia è tutto quello che rimane dal commento che sta attorno alle immagini degli altri, precedenti e assenti, immagini gettate via. Questo esempio potrebbe fare pensare a un processo di svalutazione dell’oggetto, e si può in effetti pensare a questa operazione come all’ultima cosa che possiamo fare con ciò che rimane tra le mani. È il caso della poesia di Adriano Spatola. L’iter attorno all’oggetto non ha praticamente un inizio e una fine ma tende a finire, a scomparire nell’apparizione di qualche cosa che non esiste.
3.
Siamo sicuri che il mondo c’è e le cose ci sono. Aristotelicamente hanno materia forma e non-essere. Dato che il non-essere è forma non attuata non c’è mondo che non renda probabile un mondo, mondi gremiti di forme non attuate (Nadja di André Breton). Parlare in poesia non significa accettare il nulla immanente in ogni cosa. Parlare in poesia non è un atteggiamento mistico, la pesi a non ha interesse al nulla che non si forma (Cabbala), a un nulla immanente nelle cose. Parlare in poesia significa spingere ogni cosa verso la sua forma non attuata. In questo modo si parla di poesia come creazione di forma, la poesia descrive la forma non attuata delle cose. Contro la confusione della scrittura automatica, si deve dire che non si tratta di fare proliferare cose dalle cose o parole dalle parole o momenti di intelligibilità dalla inintelligibilità. L’immagine è inintelligibilità. L’immagine è inintelligibile e basta. Le parole non vengono usate per fornire spiegazioni o dare giustificazioni. Le parole ci sono già, sono attorno, e la poesia si serve di tutto quello che c’è attorno a queste immagini di oggetti non essenti di cui a mala pena rintracciamo il perimetro. Non si tratta di elencare immagini, non si tratta di isolare un’immagine segreta o profonda (deep image) si tratta semplicemente di non sapere di che immagine si parla. Individuare il posto che occupa e lo spazio che le sta attorno, anche se non c’è più (negazione dell’iper-realismo, e del realismo in genere; attenzione per il lavoro di alcuni giovani pittori: Claudio Parmiggiani, Giovanni D’Agostino, Franco Guerzoni, e altri).
4.
Majakovskiiiiiiij di Adriano Spatola è un esempio di poesia politica che si organizza attorno a un’immagine capace di articolare l’esigenza del mondo interiore e del mondo esteriore. L’immagine Majakovskij, che non c’è, più viene in primo piano, più apre alla poesia spazio di esperienza politica. Si potrebbe dire che l’immagine occupa esattamente lo spazio che il poeta si è destinato, e il poeta, come soggetto del discorso, non si è destinato nessuno spazio nel testo poetico, anche se il testo poetico si ritma del suo respiro. A questo limite, oltre il quale arriviamo al soggetto, finisce tutta la storia del sogno del fantastico del surreale. Il limite è fra l’inconoscibilità del soggetto e tutto il mondo nella sua realtà.
Qui l’immagine non ha per sé nessun territorio, è un segno che non si sa dove scrivere, tutto il territorio è il territorio della realtà. L’immaginario non c’è. Questa affermazione significa che l’assenza viene registrata come mancanza, e ogni mancanza dà valore a una visione totale del mondo, così come i nomi veri delle città dei laghi dei fiumi compongono una geografia totale nei nonsense di Giulia Niccolai (Greenwich) attorno all’assenza del luogo immaginario. E gli itinerari precisi dei lunghi viaggi di Franco Beltrametti (Nadamas) compongono un unico paesaggio attorno all’essenza del paesaggio immaginario. Molti scarti, molti oggetti consumati riempiono questi testi. Non sono immagini di visioni ma indicazioni reali della mancanza di visione.
5.
Una qualsiasi linea che viene segnata sulla carta bianca non determina la propria forma. Determina due resti della superficie da cui essa stessa è determinata. L’immagine si può paragonare alla linea, essa risulta dall’incontro della superficie totale della realtà con tutte le altre possibili superfici totali della realtà. a) L’immagine più semplice è certamente una macchia nera su un foglio bianco: essa determina la propria forma e quella della superficie bianca. b) Altrettanto semplice è la macchia bianca sulla superficie nera; facendo riferimento ad a costruiamo così una dialettica del vero e del falso. c) L’immagine, bianca o nera, attraversa tutto lo spazio come ogni affermazione o negazione attraversa tutto lo spazio logico (Wittgenstein) creando una distinzione fra vero e falso. d) Un’immagine bianca su uno spazio bianco non determina più problemi di verità o falsità, non c’è nessuna dialettica. e) E la realtà ha il suo momento di espansione totale fino al limite di un’altra possibile superficie totale della realtà. f) Il che accade anche con un’immagine nera su una superficie nera. g) Il nonsense (The Hunting of the Snark):
Le altre mappe hanno sempre, si sa,
porti isole capi città.
Ma ringraziamo il capitano astuto
(la ciurma così griderebbe)
c’ha comprato quel che mai s’ebbe
un foglio bianco, totalmente vuoto!
Il poeta che lavora sull’immagine che determina un territorio politico non può costruire ipotesi di una dialettica del falso e del vero. Dovrebbe infatti costruire un’ipotesi di falsità radicale, presupposta da un’ipotesi di falsità comune che la precede, e così via fino al presupposto di una verità comune preceduta da una verità radicale. Non è possibile un testo poetico col presupposto della verità, l’unico spazio della poesia è quello che appare alle spalle dell’immagine ed è quello che tutta la realtà occupa.
6.
Il discorso poetico non produce affermazioni di verità o di falsità su una mano un albero una foglia, è semplicemente tutto ciò che che si può dire di una mano un albero una foglia, per esperienza. L’esperienza è l’essere altrimenti di ciò che ho visto e toccato. Parlare dell’essere altrimenti delle cose e parlare dell’essere altrimenti tout court, come se le cose non ci fossero, è poesia. Parlare per esperienza delle cose significa avere assistito alle cose dal di fuori. L’esperienza (la poesia) è dunque venir via dalle cose. Il soggetto, come l’immagine, tende a non occupare uno spazio nel mondo (si capisce perché, secondo la Midrash, Dio avrebbe concentrato tutto il suo potere in un punto solo del mondo. O ancora meglio, secondo la Cabbala, Dio non si concentrerebbe in un luogo, ma si ritirerebbe da ogni luogo. Nella creazione il mondo c’è se Dio si contrae. Se Dio è dovunque, il mondo non può esistere). Il poeta ripete la creazione. L’esperienza poetica è ripetere la creazione. La poesia è parlare per esperienza.
[ in «TAM TAM», n.3/4, 1° semestre 1973, p. 25
poi in: Corrado Costa, The Complete Films,
a c. di Eugenio Gazzola, Le Lettere, Firenze 2007 ]